42 – Corte d’Appello di Roma: quando è determinante l’adeguata verifica nella prevenzione del riciclaggio ?

Sentenza 42 –  Commercialista. La Corte d’Appello di Roma conferma la centralità dell’adeguata verifica.

  1. Analisi della vicenda processuale

Una recente pronuncia della Corte d’Appello di Roma emessa nel mese di giugno 2025 ha fornito importanti chiarimenti sui principi fondamentali della normativa antiriciclaggio, confermando la legittimità delle sanzioni amministrative irrogate dal MEF nei confronti di un professionista per violazione degli obblighi di adeguata verifica della clientela.

I fatti alla base della controversia

La vicenda trae origine da un’ispezione condotta dalla Guardia di Finanza presso lo studio del professionista nel periodo compreso tra gennaio 2018 e ottobre 2019. L’attività di controllo era finalizzata a verificare il rispetto della normativa antiriciclaggio prevista dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231.

Durante l’ispezione, gli operanti hanno concentrato l’attenzione su una società cliente caratterizzata da una complessa struttura societaria multilevel con sede negli Emirati Arabi Uniti. L’esame documentale ha rivelato significative carenze nella documentazione necessaria per l’identificazione del titolare effettivo della società.

Le violazioni accertate dall’autorità

L’accertamento ha evidenziato due principali tipologie di violazioni. In primo luogo, l’assenza di documentazione idonea per l’identificazione del titolare effettivo, poiché il certificato di attribuzione delle azioni prodotto dal professionista non risultava adeguato per l’assolvimento degli obblighi di adeguata verifica, non essendo riferibile a registri pubblici o attestazioni governative che dimostrassero la proprietà del capitale sociale della società.

In secondo luogo, è stata riscontrata la mancata adozione di adeguate procedure di valutazione e mitigazione del rischio di riciclaggio, in quanto il professionista non aveva predisposto alcuna valutazione documentata né aveva adottato procedure oggettive per l’analisi dei rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo.

  1. Esame della decisione giurisprudenziale

Le argomentazioni del primo giudice

Il Tribunale di Roma aveva respinto l’opposizione proposta dal professionista, confermando la legittimità del decreto sanzionatorio. Il primo giudice aveva evidenziato come l’acquisizione della documentazione necessaria fosse avvenuta solo successivamente ai controlli della Guardia di Finanza e non precedentemente, come invece imposto dalla legge.

La decisione di primo grado aveva sottolineato che il professionista disponeva di un patrimonio informativo inidoneo, in ragione dell’omessa acquisizione degli elementi, dei dati e dei riscontri imposti dalla legge in termini di profilatura e controllo costante del cliente.

La conferma in sede di appello

La Corte d’Appello di Roma ha confermato integralmente la decisione del primo giudice, respingendo l’appello proposto dal professionista. I giudici di secondo grado hanno richiamato l’orientamento consolidato della Cassazione, sottolineando l’importanza centrale dell’adeguata verifica della clientela nel sistema antiriciclaggio.

La Corte ha evidenziato come nell’architettura del decreto legislativo n. 231/2007 il corretto assolvimento degli obblighi di adeguata verifica non costituisca un adempimento isolato, bensì strumentale all’adempimento dell’obbligo di segnalazione. Solo disponendo di informazioni e documenti relativi ai clienti, all’operazione e alla provenienza delle somme, il soggetto obbligato può individuare e valutare l’eventuale natura sospetta delle operazioni.

La questione della tempestività documentale

Un aspetto cruciale evidenziato dalla pronuncia riguarda la tempestività dell’acquisizione della documentazione necessaria. La Corte ha chiarito che la documentazione volta all’identificazione del titolare effettivo deve essere acquisita al momento dell’assunzione dell’incarico e non successivamente ai controlli delle autorità competenti.

Nel caso di specie, il professionista aveva acquisito la documentazione necessaria solo dopo l’intervento della Guardia di Finanza, configurando così una violazione degli obblighi normativi. La circostanza che il “Summary of Registration Certificate” della Dubai Aviation City Corporation sia stato prodotto solo in sede di scritti difensivi ha confermato la violazione degli obblighi di adeguata verifica.

  1. Principi generali estratti dalla sentenza

Il ruolo centrale dell’adeguata verifica

La pronuncia conferma l’orientamento giurisprudenziale consolidato che attribuisce carattere centrale agli obblighi di adeguata verifica della clientela nel sistema di prevenzione del riciclaggio. Come affermato nella sentenza della Cassazione n. 20647/2018, l’importanza di tale adempimento risiede nel fatto che “nell’attuazione di questa tutela preventiva viene affidato un ruolo determinante ai destinatari delle norme, cui sono demandati, secondo modalità lasciate alla loro discrezione, la verifica dell’adeguata conoscenza del cliente e la cura degli assetti organizzativi più adeguati per adempiere il fondamentale obbligo di due diligence”.

La natura strumentale della verifica

La Corte ha evidenziato come il corretto assolvimento degli obblighi di adeguata verifica non rappresenti un adempimento isolato, ma risulti strumentale all’adempimento dell’obbligo di segnalazione. Questo principio trova conferma in altre recenti pronunce, come la sentenza del Tribunale di Roma n. 19364/2024, che ha precisato come l’obbligo di controllo costante del rapporto con il cliente non si esaurisca nella prima acquisizione di dati ma si estenda all’analisi della congruenza tra il profilo del cliente e la sua operatività.

I requisiti della documentazione probatoria

La sentenza ha precisato che per l’identificazione del titolare effettivo di strutture societarie complesse non è sufficiente la produzione di certificati generici, ma è necessaria documentazione riferibile a registri pubblici o attestazioni governative italiane o straniere che dimostrino effettivamente la proprietà del capitale sociale.

Questo principio è coerente con quanto stabilito dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 10630/2024, che ha chiarito come l’obbligo di identificazione comporti necessariamente l’acquisizione e la conservazione nel fascicolo della documentazione identificativa completa, non potendo tale adempimento essere sostituito dalla mera dichiarazione del professionista di conoscere personalmente i soggetti coinvolti.

 L’approccio sostanziale alla verifica

La pronuncia evidenzia l’importanza di un approccio sostanziale e non meramente formale nell’assolvimento degli obblighi di adeguata verifica. Quando il cliente assume la forma di impresa dotata di personalità giuridica inserita in una struttura societaria multilivello, la verifica dell’identità del titolare effettivo impone l’adozione di misure idonee a comprendere la struttura di proprietà e di controllo del cliente.

  1. Massima giurisprudenziale

Dalla pronuncia in esame si può estrarre la seguente massima di diritto:

In materia di normativa antiriciclaggio, l’obbligo di adeguata verifica della clientela previsto dagli articoli 18 e seguenti del decreto legislativo n. 231/2007 impone ai professionisti l’acquisizione tempestiva e completa della documentazione necessaria all’identificazione del titolare effettivo del cliente, costituendo tale adempimento il perno della disciplina antiriciclaggio. L’adeguata verifica non rappresenta un adempimento isolato ma risulta strumentale all’obbligo di segnalazione, richiedendo per le strutture societarie multilivello documentazione riferibile a registri pubblici o attestazioni governative che dimostrino effettivamente la proprietà del capitale sociale. La produzione di documentazione idonea solo successivamente ai controlli delle autorità competenti non sana la violazione originaria degli obblighi di adeguata verifica.

Corollari della massima principale

La pronuncia stabilisce inoltre alcuni principi corollari di particolare rilevanza:

L’acquisizione successiva della documentazione necessaria, effettuata solo a seguito dei controlli delle autorità competenti, non sana la violazione degli obblighi di adeguata verifica, configurando comunque un inadempimento assoggettabile a sanzioni antiriciclaggio.

Le procedure di valutazione del rischio devono essere documentate e oggettive, non potendo il professionista limitarsi ad una valutazione meramente soggettiva o non formalizzata dei rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo.

Per le strutture societarie multilevel, l’identificazione del titolare effettivo richiede l’adozione di misure idonee a comprendere la struttura di proprietà e di controllo del cliente, non essendo sufficiente la produzione di certificati generici privi di riferimenti a fonti ufficiali verificabili.

  1. Implicazioni per la prassi professionale

La sentenza rappresenta un importante precedente per tutti i soggetti obbligati dalla normativa antiriciclaggio, sottolineando la necessità di predisporre procedure adeguate e tempestive per l’identificazione del titolare effettivo. L’orientamento espresso dalla Corte conferma l’approccio rigoroso delle autorità di vigilanza nell’applicazione della normativa antiriciclaggio.

Impatti operativi della decisione

La pronuncia rende indispensabile per i professionisti un costante aggiornamento delle proprie procedure operative e una particolare attenzione nella fase di acquisizione della clientela. La decisione evidenzia come non sia sufficiente una conoscenza generica del cliente, ma sia necessaria una documentazione specifica e verificabile che dimostri l’effettiva titolarità delle strutture societarie coinvolte.

 Coordinamento con la giurisprudenza di legittimità

L’orientamento della Corte d’Appello si inserisce nel solco della giurisprudenza consolidata che attribuisce carattere centrale agli obblighi di adeguata verifica della clientela nel sistema di prevenzione del riciclaggio. La decisione trova conferma in numerose altre pronunce, come la sentenza del Tribunale di Roma n. 18547/2024, che ha precisato come la mancata compilazione del modulo antiriciclaggio impedisca una adeguata profilazione del cliente e una valutazione del rischio specifico.

La soccombenza e le conseguenze economiche

La sentenza ha visto la soccombenza dei ricorrenti, condannati in solido al rimborso delle spese processuali in favore del MEF. Le spese del grado di appello sono state liquidate in circa 2.000 euro per compensi, oltre accessori di legge. È stato inoltre dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento di un ulteriore contributo unificato.

Le sanzioni amministrative confermate ammontano complessivamente a circa 4.000 euro, importo che, pur riconoscendo la forma lieve delle violazioni, è stato ritenuto congruo dalla Corte tenendo conto dell’attività collaborativa prestata dal professionista durante l’accertamento.

Considerazioni conclusive per la prassi professionale

La pronuncia della Corte d’Appello di Roma costituisce un importante punto di riferimento per l’interpretazione e l’applicazione della normativa antiriciclaggio. La decisione conferma la necessità di un approccio sostanziale e rigoroso nell’assolvimento degli obblighi di adeguata verifica, particolarmente nelle ipotesi di strutture societarie complesse caratterizzate da articolazioni internazionali.

L’orientamento espresso dalla Corte impone ai professionisti una revisione delle proprie procedure operative, con particolare attenzione alla tempestività e alla completezza della documentazione acquisita per l’identificazione del titolare effettivo. La sentenza rappresenta un monito per tutti i soggetti obbligati sulla necessità di mantenere elevati standard di compliance nella gestione dei rapporti con la clientela, al fine di contribuire efficacemente alla prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.