45 – Transazioni e antiriciclaggio: adeguata verifica?
Sentenza 45. L’attività stragiudiziale finalizzata alla stipula di una transazione gode del legal privilege. Analisi Sent. Corte d’Appello di Roma pubbl. 10/2024
La vicenda processuale
Una recente pronuncia della Corte d’Appello di Roma, pubblicata nel mese di ottobre 2024, ha affrontato una questione di particolare rilevanza per la professione forense: l’applicabilità degli obblighi di adeguata verifica della clientela previsti dalla normativa antiriciclaggio alle transazioni stipulate dagli avvocati.
Il caso traeva origine dalla sanzione irrogata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nei confronti di un professionista legale che non aveva proceduto all’identificazione di una società cliente in occasione della stipula di una transazione dell’importo di circa diciotto mila euro, volta a risolvere una controversia contrattuale tra la società e un suo collaboratore.
Il Tribunale di primo grado aveva accolto parzialmente il ricorso dell’avvocato, riducendo la sanzione originariamente fissata in cinquemila euro alla misura minima di duemilacinquecento euro, pur confermandone l’applicabilità. Il professionista aveva quindi proposto appello, contestando la qualificazione della transazione come operazione soggetta agli obblighi di verifica previsti dalla disciplina antiriciclaggio.
Il principio di diritto affermato
La Corte d’Appello ha accolto integralmente l’appello, stabilendo un principio di fondamentale importanza per la professione forense. Secondo i giudici romani, il negozio transattivo stipulato dall’avvocato per conto del proprio cliente si presenta come riconducibile a un’attività contenziosa o latamente difensiva e, pertanto, non rientra tra le operazioni di costituzione, gestione o amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi per le quali l’art. 18 del d.lgs. n. 231/2007 impone al professionista l’obbligo di adeguata verifica del cliente.
La decisione si fonda sulla natura stessa della transazione, definita dall’art. 1965 del codice civile come il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro.
L’esenzione per l’attività difensiva
La Corte ha richiamato l’importante principio secondo cui l’attività difensiva in senso tecnico, anche nella sua fase prodromica di consulenza legale tesa ad avviare o ad evitare un contenzioso, non soggiaceva all’obbligo di adeguata verifica gravante sugli avvocati. Questo principio trova conferma nell’attuale formulazione dell’art. 18, comma 4, del d.lgs. n. 231/2007, che stabilisce l’esonero (c.d. legal privilege) per i professionisti “limitatamente ai casi in cui esaminano la posizione giuridica del loro cliente o espletano compiti di difesa o di rappresentanza del cliente in un procedimento innanzi a un’autorità giudiziaria o in relazione a tale procedimento, anche tramite una convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ai sensi di legge, compresa la consulenza sull’eventualità di intentarlo o evitarlo”.
La valutazione caso per caso
La sentenza contiene tuttavia un’importante precisazione. I giudici hanno osservato che, ferma restando la qualificazione generale della transazione come attività contenziosa, in astratto anche una transazione può concretamente atteggiarsi ad atto gestionale di una società e prestarsi ad operazioni sospette. La qualificazione dell’operazione dipende quindi dalle circostanze concrete del caso e dalla presenza di elementi idonei a connotare la transazione in termini di pura gestione societaria piuttosto che di attività contenziosa.
Il quadro normativo di riferimento
La decisione si inserisce nel più ampio contesto della normativa antiriciclaggio, che ha subito significative modifiche nel corso degli anni. Il decreto legislativo n. 231 del 2007 stabilisce gli obblighi di adeguata verifica della clientela, che consistono nell’identificazione del cliente e nella verifica della sua identità, nell’identificazione dell’eventuale titolare effettivo, nell’acquisizione di informazioni sullo scopo e sulla natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale, e nel controllo costante durante lo svolgimento del rapporto.
La normativa prevede specifiche esenzioni per determinate categorie di attività professionali, riconoscendo la particolare natura dell’attività difensiva e la necessità di tutelare il diritto di difesa e il segreto professionale.
Implicazioni per la professione forense
La pronuncia assume particolare rilevanza per gli avvocati, chiarendo i confini dell’applicazione della normativa antiriciclaggio all’attività professionale. La transazione, strumento ampiamente utilizzato nella pratica forense per la risoluzione stragiudiziale delle controversie, viene ricondotta nell’alveo dell’attività contenziosa, beneficiando quindi delle esenzioni previste per l’attività difensiva.
Questa interpretazione appare coerente con la ratio della normativa antiriciclaggio, che mira a prevenire l’utilizzo del sistema finanziario per operazioni di riciclaggio, senza tuttavia compromettere l’esercizio del diritto di difesa e l’attività professionale degli avvocati quando questa si svolge nell’ambito dell’assistenza e rappresentanza processuale.
La giurisprudenza di legittimità
La decisione si allinea con l’orientamento consolidato della giurisprudenza, che ha sempre riconosciuto la specificità dell’attività forense e la necessità di bilanciare gli obblighi di prevenzione del riciclaggio con la tutela del diritto di difesa. Altre recenti pronunce della Corte d’Appello di Roma hanno confermato l’esonero degli avvocati dagli obblighi antiriciclaggio quando svolgono attività di assistenza, difesa e rappresentanza del cliente in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento.
Aspetti procedurali e sanzionatori
Dal punto di vista procedurale, la sentenza conferma che la valutazione della natura dell’attività svolta deve essere effettuata caso per caso, analizzando le concrete modalità di svolgimento della prestazione professionale e la sua finalità. Nel caso specifico, l’assenza di elementi idonei a connotare la transazione in termini di pura gestione societaria ha portato alla sua qualificazione come attività contenziosa.
La Corte ha inoltre stabilito la compensazione delle spese processuali per entrambi i gradi di giudizio, riconoscendo la complessità della questione giuridica affrontata.
Conclusioni e prospettive
La pronuncia della Corte d’Appello di Roma rappresenta un importante chiarimento per la professione forense, definendo con maggiore precisione l’ambito di applicazione della normativa antiriciclaggio alle transazioni stipulate dagli avvocati. Il principio affermato – secondo cui la transazione rientra nell’attività contenziosa quando finalizzata alla risoluzione di controversie – fornisce agli operatori del diritto un criterio interpretativo chiaro e coerente con la natura dell’attività professionale.
La decisione sottolinea tuttavia la necessità di una valutazione attenta delle circostanze concrete di ogni singolo caso, evitando automatismi interpretativi che potrebbero risultare inappropriati. L’equilibrio tra prevenzione del riciclaggio e tutela dell’attività professionale rimane un tema di grande attualità, che richiede un approccio prudente e consapevole da parte degli operatori del settore.
La soccombenza è risultata del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con compensazione delle spese processuali per entrambi i gradi di giudizio in considerazione della complessità della questione giuridica trattata.
